Premio Letterario Zeno - III Edizione

Scrittura scorrevole, asciutta, una insolita forma di diario che si perde a tratti nei meandri del pensiero continuo, che l’io narrante bene conduce in profondità. Il ritmo va intensificandosi col procedere della narrazione, la maestria del narratore si rivela nella duplice tensione, quasi contrasto, fra il saper rivelare l’essenza dell’ incomunicabilità e l’aspirazione caotica e frammentaria verso la realtà, verso la concretezza. Alla fine ci porta a domandarci: a cosa serve scrivere? A cosa serve scrivere un diario? Muoversi o stare fermo? Muoversi nonostante la volontà di stare fermo? Potere della parola scritta… e tuttavia a volte ci si muove in cerchio, senza giungere a una meta se non quella del ripiegare su sé stessi. La fuga. La fuga da un amore morente? O piuttosto proprio da sé stessi? Attanagliato dal suo dolore, riuscirà il protagonista a camminare verso e attraverso la consapevolezza? Verso il risveglio? O sarà piuttosto la testimone del suo tragico perdersi senza scampo? Perdersi fra droghe, sesso a buon mercato, stanze buie… e senza riuscire più a sperare. (GIOVANNA NIEDDU)

Nel suo romanzo Scardovi mostra una capacità sorprendente nel condurre il lettore in un mondo reale e vicino eppure straniante, condito di humor e inquietudine. A metà tra il thriller e la commedia, Inseguiti da un incubo, colpisce per la profondità dello sguardo, tagliente ma mai cinico. La voce è personale e ben calibrata, così come risulta efficace l'ambientazione di provincia, che aggiunge alla storia solidità e verosimiglianza. (EMIDIO CLEMENTI)

Ancora un romanzo d’azione, microspie fra i bottoni della camicia, linguaggio gergale, una narrazione che a tratti si lasci a trasportare da uno slancio enfatico. Ammirevole la capacità di introdurre con naturalezza inserti riflessivi, spunti e considerazioni che spostano l’attenzione sui profondi ed eterni interrogativi che accompagnano l’uomo: dal “bisogno di vivere ogni giorno [...] bisogno di crescere ogni giorno”, alla “paura di essere solo nel nulla. La paura che il buio dell'universo nascondesse solo altro buio e la nostra vita fosse solo lo specchio di una vana speranza di far parte di un disegno inesistente.” (GIOVANNA NIEDDU)

Non ne ho la minima idea è un romanzo a cui si vuol bene. Bastano poche pagine infatti per fare proprio il senso di smarrimento venato d'ironia della protagonista, di fronte a un mondo assurdo e a tratti comico, che si può solo descrivere, ma è impossibile da decifrare. (EMIDIO CLEMENTI)

La scrittura scorre con modalità del “flusso ininterrotto del pensiero”, le considerazioni della protagonista si svolgono all’inseguimento del suo stesso sentire interiore: cercarsi-trovarsi-perdersi-cercarsi, accompagnate dal leitmotiv: Ce la puoi fare Anita Ce la puoi fare Anita come una parola d’ordine. Breve, veloce, essenziale. Questo romanzo ha il pregio della freschezza senza mai scadere nella superficialità. Di tanto in tanto, le certezze sembrano oscillare: Ce la puoi fare, Anita? Ma il recupero è rapido. Altrettanto rapido e gradevolmente originale lo scorrere dei capitoli, talvolta costituiti da una parola, da una sola frase. Positivo il messaggio, nell’insieme: l’auto-incoraggiamento, l’autostima, il non dimenticare di volersi bene: di guardare quanto ti vuole bene la tua vita zoppa. (GIOVANNA NIEDDU)

Il racconto riesce a tenere insieme in poche pagine temi diversi tra loro come l'amore, la fisica, il mondo animale, l'assenza, la separazione. Nulla però appare fuori posto. Suggestioni diverse riescono a tratteggiare con efficacia lo stato d'animo del protagonista, in bilico tra tristezza e disincanto. (EMIDIO CLEMENTI)

Ottima scrittura, idea molto originale, buona la successione dei capitoli, ottimo il finale. Mi piacerebbe leggere qualcos’altro dell’autrice, molto dotata. (SILVANA PEROTTI)

Racconto scritto bene e in modo corretto, ma manca di pathos e di sostanza. Quel buttare lì la violenza carnale, senza coinvolgere il passato e usare in qualche modo la mongolfiera come metafora, lascia indifferenti. (SILVANA PEROTTI)

Le mani è una poesia delicata, senza una parola di troppo, che in poche righe, attraverso uno sguardo attento e partecipe, è capace di trasmettere il senso di una vita intera. (EMIDIO CLEMENTI)

Ho apprezzato gli ultimi quattro versi. Per il resto, percepisco un dolore rimasticato e non del tutto digerito e trasformato in quella forma poetica che può davvero lasciare il segno nel lettore. (ELVIRA MANCO)

Stravolgente precipitato dello spirito del XX secolo: si ha davvero l’impressione di essere di fronte a un soliloquio di Stravinsky col suo genio creatore, alla vigilia dell’attentato di Sarajevo e della catastrofe che ne seguì. (GIUSEPPE FEOLA)

L'idea riprende certi schemi di maledettismo novecentesco; la forza della poesia sta nello sviluppo delle immagini. (GIUSEPPE FEOLA)

Mi sembra un mottetto, mi rimanda all' "Ave verum Corpus" mozartiano; un componimento delicato e tenero, una composta, religiosa riflessione. "Aderisce", "vuotare", "scivola,"trafittura", "scava" : il tutto tradisce una dicotomia (forse) solo apparente tra logos e vita; si avverte l'intima percezione di una complessità oltreumana. (LUIGI DI CARLUCCIO)

Mi piace la prospettiva oziosa del poeta, un ritmo autunnale /cardarelliano, un'atmosfera da Khorakhanè deandreiana, una rima baciata qua e là e l'enjambement. Trasportante. (LUIGI DI CARLUCCIO)

Buone intuizioni. I ‘dubbiosi sconfini’ mi creano una certa perplessità. Ho apprezzato l’autenticità degli ultimi due versi. (ELVIRA MANCO)