Premio Letterario Zeno - IV Edizione

Nominare, o rinominare, le cose per farle esistere: questo dovrebbe essere uno dei compiti della letteratura. Sottrarre all’oblio i volti, le storie dimenticate, i nomi che nessuno pronuncia più, per riconsegnarli infine al presente, con la forza della narrativa e dell’inventiva. Paola Presciuttini ci porge, magnificamente scritta, la storia misconosciuta di una donna del Medioevo, Trotula De Ruggiero, che seppe cogliere nella medicina la risoluzione a certe bibliche angustie femminili, rispetto alle quali gli uomini di scienza arretravano: per devozione, superstizione e, soprattutto, per disinteresse. Seppe inoltre istruire sulle norme igieniche, sulle suture, sulle epidemie, confrontandosi con arabi e normanni e aprendosi a quella ‘pratica eretica’ che era la chirurgia. Apprendeva e trasmetteva agli altri, insomma. In breve, sfidò con coraggio il suo tempo: ne uscì segnata, ma non sconfitta. Quante sono le donne dall’ingegno luminoso, dalla ‘signoria mentale’ inesauribile, sepolte sotto cumuli di polvere, di colpevole dimenticanza? Quante Ipazia, Isabella di Morra, Trotula De Ruggiero sono state consegnate a un’eternità di indifferenza e perciò di morte? Il meticoloso lavoro di Paola Presciuttini, l’empatia stessa con cui intesse la vita della protagonista, ci aiutano a far luce su una delle tante dimenticate della Storia, che faremmo bene a recuperare al nostro immaginario. (CARMEN PELLEGRINO)

Un argomento interessante, un romanzo appassionante e originale, scritto con una forma narrativa solida e originale, in cui viene utilizzata con maestria dall’autrice l’alternanza dell’io narrante. Trotula è un romanzo scorrevole e insieme profondo. In esso avviene la ricostruzione storica di Trotula de Ruggiero, con una naturalezza che tuttavia non manca di fantasia e di inventiva. La figura ce ne emerge è femminile e vigorosa insieme, e si evince anche tutta l’ammirazione dell’autrice nei suoi confronti.
Aggiungerei che peraltro alcuni argomenti trattati nel libro sono di estrema attualità anche oggi: con particolare riferimento alla fatica che la donna deve ancora compiere per trovare il suo posto nella società e per ottenere i riconoscimenti che le competono. (GIOVANNA NIEDDU)

L'autrice mostra subito una mano molto matura già nella prefazione, che sapientemente introduce sia la motivazione di chi scrive che il contesto in cui si muoverà il romanzo, e si conclude proponendo magistralmente l'aggancio che introduce l'incipit. Già dai primi capitoli le descrizioni dei personaggi permettono di inquadrare senza difficoltà il contesto storico culturale e allo stesso tempo offrono alcuni tratteggi magistrali: l'infanzia, la tensione verso la conoscenza, la pari dignità a dispetto della differenza di casta sociale, i turbamenti dell'epoca. Una grande capacità di caratterizzare personaggi e situazioni sorregge una vena creativa che sa offrire riflessioni molto profonde e allo stesso tempo leggere alla lettura. I personaggi acquistano subito nel mio immaginario precise sembianze fisiche e caratteriali senza che l'autrice perda tempo a descrivere pedissequamente tratti e vestiti. Con il pretesto di una storia già intrigante in sé, l'autrice ci trasmette nel modo più alto la tensione di noi, uomini e donne, a cercare uno scopo nobile per la nostra vita, senza cadere mai in vizi di ideologia o in categorie stucchevoli, senza mai tracciare giudizi sui comportamenti, senza lasciar intravedere preferenze di estrazione sociale o di genere. Ci sono pagine che definirei meravigliose. Questo è un libro straordinario per la storia che racconta, per il mare di riferimenti culturali ed emozionali che lo arricchiscono e per gli squarci di profondità e di stile che l'autrice ci offre. (ROBERTO SCARDOVI)

Sastro dei Turrani è un paesino del sud, dove si svolge la vicenda. Nel romanzo sono rese molto bene l’atmosfera di Sastro, i sentimenti dei personaggi, il loro relazionarsi. L’autrice è attenta all’esplorazione dell’animo umano senza mai lasciare che l’intima analisi prenda il sopravvento sulla storia, ma facendo in modo che ne sia naturalmente parte. Molto belle le descrizioni del paesaggio. I silenzi. Le atmosfere assopite. Storia originale e coinvolgente, raccontata con una struttura narrativa solida e consapevole. (GIOVANNA NIEDDU)

Un incipit molto carico e ben scritto lascia il lettore in una piacevole incertezza: si tratta di fantascienza? fantasy? horror? Solo nelle ultime righe ci è dato di sapere di trovarci in un sogno. Le narrazioni ambientate in mondi paralleli (sogno, dormiveglia, estraniazione, lettere), tutte rese con linguaggi appropriati e sempre diversi accompagnano tutto il romanzo, amplificando la sua capacità di descrivere e suscitare emozioni.
L'autore procede con parecchie fughe verso l'assurdo in cui sembra quasi voler cercare il limite fin dove potersi spingere e intanto semina pillole di una trama intrigante di taglio noir-ironico. Quasi mai si ha l'impressione di una forzatura, e anzi il taglio assurdo e distaccato finisce con l'essere il sale della storia. Quando l'autore descrive il mondo reale in cui vive il protagonista, cioè il prof. Tampi, il romanzo perde il mordente solo in maniera marginale. Ben rappresentate, con tratto sardonico e distaccato, le frustrazioni e le idiosincrasie del mondo della scuola, il contenuto ambivalente della modernità, il tessuto alienante e decadente della città. Ottimo il linguaggio e la profondità un po' distaccata con cui vengono rivelati alcuni squarci della vita: la malattia, l'emarginazione, il male di vivere.
Sembra di intuire da alcuni riferimenti che probabilmente il libro è stato scritto in un arco di tempo molto lungo, forse ottenuto assemblando racconti e scene prima di aver ben presente la trama, e questo mi è parso il suo limite. Per quanto l'amalgama sia ben organizzato in qualche punto si vedono i rammendi e alcune scene sembrano messe dentro un po' a forza, specialmente a due terzi del romanzo. Il finale riesce comunque a ricucire la trama, con un paio di forzature. (ROBERTO SCARDOVI)

Racconta la vicenda di un professore di lettere in modo piuttosto frammentato. Alla scrittura, non sempre scorrevole, manca quell'aspetto emotivo capace di catturare e di coinvolgere il lettore. (GIOVANNA NIEDDU)

Doloroso excursus sulla verità, la verità come fatto, o come percezione, la verità percepita o vissuta o sognata o agognata. Trama difficile da seguire, scrittura molto arzigogolata e ricercata, colma di citazioni dotte. Gino, come Odisseo, fa ritorno a Itaca (a casa), ma il romanzo non è la storia di Gino e nemmeno della guerra, bensì la storia di una guerra interiore, conflitto tra nazioni, tra generazioni, tra verità. Più vicino a una serie di considerazioni personali che a un vero e proprio romanzo in cui si armonizzino fabula e intreccio. (GIOVANNA NIEDDU)

L'autore offre uno spaccato di società contemporanea e attraverso i personaggi getta una luce su alcune situazioni tipiche. Linguaggio giovanile/adolescenziale a tratti scorrevole, a tratti un po' troppo enfatizzato nella preoccupazione di apparire leggero e scanzonato. L’originale utilizzo delle note introduce una nota di ironia. (GIOVANNA NIEDDU)

Un libro dalla narrazione spezzata. A tratti il linguaggio appare disincantato, a tratti sospeso come in una fissità immobile. Una cartolina su un evento ed un paesaggio che diventano tutt'uno, di volta in volta. Intimista. (GIOVANNA NIEDDU)

Se riuscirete a terminare la lettura di questo racconto senza farvi fermare da niente, vi troverete di fronte a  un piccolo capolavoro. È la storia sconvolgente del senso di colpa di un uomo e di ciò che riesce a produrre in un essere che è difficile definire ancora umano. Con una scrittura che lascia esterrefatti per la ricerca dell'orrido, alla fine di ogni capitolo l'autore ci propone una quasi beffarda scelta tra due ipotesi, di cui la seconda fa agghiacciare la pelle. (SILVANA PEROTTI)

Un racconto per immagini e sinestesie. Al di là della storia, colpisce la prosa a volte audace, segno di un sicuro possesso della lingua italiana. (CARMEN PELLEGRINO)

Racconto moderno (forse troppo) dalla buona scrittura e dallo stile molto accattivante. (SILVANA PEROTTI)

Un racconto ambientato in Sicilia, in cui i personaggi sono delineati con sapienza, ci regala una storia d'amore, d'odio, di costume, di poesia scritta in una lingua mirabilmente mischiata al dialetto. Una promessa per l'editoria. (SILVANA PEROTTI)

Una storia di corruzione, in cui sono coinvolti spionaggio e servizi segreti, per un misterioso suicidio/omicidio di un magistrato a sua volta corrotto che con le sue rivelazioni potrebbe far saltare non solo il governo ma anche il sistema. Un racconto che vuole essere di denuncia, ma cade nella banalità della "solita storia". (SILVANA PEROTTI)

Con la metafora di uno pseudo Grande Fratello, la rivalità tra due donne portata all'estremo, produce un'invidia che sfocia nella crudeltà con la distruzione psicologica e mentale di una delle due. (SILVANA PEROTTI)

Un argomento spigoloso trattato con intelligenza, alternando delicatezza e cruda disperazione. Sapientemente costruito, per nulla evasivo, va dritto al punto. Fa male e lo fa bene, come è giusto che sia. Spinge ad interrogarsi sull'etica. E su se stessi. (ANDREA FABIANI)

Un racconto condotto sul filo dei ricordi, quando si è alla soglia fra la vita e morte, fra il non più e il non ancora. (CARMEN PELLEGRINO)

Una riflessione sui concetti di normalità e malattia credibile e ben condotta. Buone le descrizioni di luoghi e personaggi, convincenti i dialoghi. Belle e funzionali le figure del gallo Emilio e del pesce Tiziano. (ANDREA FABIANI)

Un racconto scritto con grande competenza stilistica e linguistica. Risuona di echi di Borges e Edgar Allan Poe, senza però risultare imitativo, ma anzi originale. In due parole: essenziale e coinvolgente. (ANDREA FABIANI)

Queste ficcanti quartine di dodecasillabi rappresentano, a guisa di affresco, la scelta fondamentale e diuturna che accompagna ogni essere umano.  In esse fatico a vedere la cronaca di un più o meno tentato suicidio: piuttosto mi rimandano al rapporto uomo/tempo, alla nostra condizione di caducità, insomma, ad un “si sta come d’autunno sugli alberi le foglie” magistralmente espresso. (LUIGI DI CARLUCCIO)

Nella semplicità di questi versi dialettali c'è una profondità più preziosa di quanto appaia a una prima lettura. Molto bella. (SILVANA PEROTTI)

Un testo che colpisce per la misura e la delicatezza: uno spaccato di vita reale, drammatico, osservato con sguardo limpido e partecipe, ma senza patetismi. L'uso del dialetto contribuisce ad accentuarne il senso di concreta immediatezza. (SERGIO PASQUANDREA)

La bravura del dialetto in una poesia d'amore e di morte del crudele tempo di guerra. (SILVANA PEROTTI)

Della poesia di Giampiero Cinque ho apprezzato molto l'intensità della scrittura, certe espressioni scarne che parlano di un dolore che l'autore tenta di contenere "in mute preghiere che nessuno dice". le descrizioni di paesaggi in fuga, di stazioni e vigneti, di valigie, di sguardi perduti, di sogni impossibili portano inesorabilmente la piccola barca della speranza a infrangersi contro gli scogli di una realtà che l'autore non può (o non vuole) cambiare. Gli ultimi versi sembrano riecheggiare le atmosfere malinconiche del Dora Markus del grande Montale. (ELVIRA MANCO)

"Estate" è un lungo testo che attraverso una lingua musicale, melodiosa, in cui spesso emerge prepotente la cadenza dell'endecasillabo, evoca una figura femminile insieme carnale e sfuggente, sospesa tra presenza e ricordo. (SERGIO PASQUANDREA)

Bella metafora di un dolore che tracima nella calura dell'estate in un rapporto consumato con una donna che è anche il rimpianto degli errori di una vita. Potente la scrittura, è la mia preferita. (SILVANA PEROTTI)

Un componimento intriso di “terrestrità”, che declina con musicalità e raffinatezza “oraziana” l’idea di persistenza, di irriducibilità, nell’impari e titanica lotta contro “la mano che ci svelle”. (LUIGI DI CARLUCCIO)

Con ogni fine il nuovo inizio. Qualcosa di noi resterà in chi germoglierà dalle nostre radici. Ho amato molto questa poesia. (SILVANA PEROTTI)

Una riflessione filosofica ed esistenziale, che si appoggia su elementi all'apparenza quotidiani e antilirici, ma che in realtà vengono riscattati e resi pregni di significato grazie a una ligua precisa, alla quale una lieve patina letteraria dona un che di nobilmente classico. (SERGIO PASQUANDREA)

Brevi versi per un amore difficile in cui ci cerchiamo tra i superstiti. (SILVANA PEROTTI)

La poesia si affida a metafore sempre cangianti, che oscillano fra la dimensione personale e quella universale, per esprimere un senso di smarrimento e impotenza, di fronte a una realtà che sembra sfaldarsi e sfuggire alla capacità di comprensione. (SERGIO PASQUANDREA)

Ritratto in controluce della mendicante che tutti portiamo negli occhi per averla incontrata nella nostra strada. (SILVANA PEROTTI)