Quattro chiacchiere con Mattia Grigolo
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Mattia Grigolo, vincitore della XII edizione del Premio Zeno, sezione romanzi editi.
● Hai vinto Zeno due volte, la prima volta nel 2022 con un racconto lungo, quando la giurata era Giulia Caminito, poi hai deciso di riprovarci con un romanzo quando a capo della giuria c'era Enrico Brizzi. Che differenza c'è, se c'è, tra lo scrivere un racconto e scrivere un romanzo?
Si dice che scrivere un racconto sia più difficile che scrivere un romanzo. Si dice anche che questa cosa non sia per nulla vera. Come spesso (mi) accade, credo che la verità stia nel mezzo. In questo caso il mezzo è chi scrive: il mezzo dello scrivere, il mezzo della questione. Per me, fare della narrativa breve è una pratica che mi riesce facile, il contrario quando mi devo allungare al romanzo: lo trovo spossante. Scrivere romanzi è un atto di autolesionismo (per me). Da una parte anche scrivere racconti lo è: in riferimento al mercato editoriale italiano. Temo che la verità stia in mezzo a più concetti, più fatiche. "Gente alla buona" è nato da un feto di quarantamila battute che ho scritto e chiuso in una decina di ore, tre notti. Terminato nell’accezione del sentirlo pronto per essere dato in pasto all’editor. Partorire quel feto e levarlo dalla placenta in forma romanzo (pronto per essere dato in pasto all’editor) mi è costato più di un anno, un eritema, la monopolizzazione di diverse sedute di psicoterapia, un paio di amicizie che comunque erano già in cancrena da tempo. C’è da dire una cosa importante: in quelle prime quarantamila battute mancava la parte più dolorosa di me, omessa volutamente. Porzione che ha iniziato a esistere e a ferire e infine cicatrizzare quando ho deciso di estendere il mio lavoro.
● Come sta andando il tuo libro? Ti ritieni soddisfatto?
A livello di vendite non ne ho davvero idea. Lo saprò fra qualche mese, quando mi arriveranno i rendiconti. "Gente alla buona" ha vinto un premio e questo, per ora, ha valore assoluto. Per il resto, come a volte (mi) accade, alcune aspettative sono state disilluse, altre erano là e là sono rimaste, integre, solide. Il mio ego boh, ho smesso di litigarci.
● Com'è stata la serata conclusiva del Premio Zeno?
Devo ancora abituarmi a questo genere di eventi, li subisco come ogni evento stressante a livello emozionale. Perché dovrebbe essere il contrario? Bramo il tipo di eventi che rischiano di essere catastrofici, li desidero proprio perché mi abbattono. Sto maturando la convinzione che la dipendenza dall’adrenalina talvolta tossica che l’evento provoca sia maggiore rispetto alla soddisfazione (o l’abbattimento) personale dell’ottenere (o meno) un riconoscimento.
● Su cosa stai lavorando adesso?
Sto lavorando a un nuovo atto di autolesionismo, ma lo sto addolcendo con la dedizione che sto dando all’imminente uscita della prima opera (e delle successive) della neonata collana che curo e dirigo per Pidgin Edizioni: Stormo. Pubblicità.
● Dato che farai parte della giuria di Zeno XIII, che consiglio dai agli autori iscritti?
A chi decide di partecipare non saprei, onestamente, si partecipa e basta. Ci si prova, e si tiene alta la bandiera fino alla fine. A chi invece sta scrivendo adesso, tra quelli che ancora non sono “entrati” nel mirabolante mondo dell’editoria italiana, un consiglio ce l’ho: pubblicare difficilmente vi salverà dai debiti, probabilmente non vi salverà nemmeno la vita. Quindi scrivete ciò che vi serve scrivere, non ciò che pensate sia giusto scrivere. Legittimo, invece, è ciò che vi farà stare bene mentre la vostra vita se ne andrà un pezzettino alla volta. Vita, tra l’altro, che se ne andrà che voi scriviate o meno, che voi pubblichiate oppure no. Detto questo, io che ne so, sono completamente in balia di me stesso e non sono per niente saggio.