Michele Frisia, vincitore di Zeno VIII e Menzione Speciale al Calvino 2025
Ciao Michele, sono trascorsi cinque anni dalla tua vittoria al Premio Zeno, era il 2020 e alla giuria c'era Andrea Tarabbia, fresco vincitore del Campiello. Quello fu l'anno del COVID che purtroppo fece saltare la serata della premiazione. Nonostante ciò furono redatte le motivazioni al tuo romanzo inedito "Avere un piano" sia da Tarabbia che dagli altri giurati. Che impressione avesti leggendole?
Penso che una delle cose più difficili per uno scrittore alle prime armi sia quello di capire se ciò che scrive vale qualcosa oppure no. Alcuni tendono a ritenere che ogni loro opera sia un capolavoro, altri si sottovalutano troppo. La giusta misura, lo sguardo esterno, è qualcosa di molto difficile da raggiungere, che perfino grandissimi autori non riescono mai a dominare del tutto e per questo ritengo che uno sguardo esterno sia essenziale, e un riconoscimento come quello del Premio Zeno è stato per me una notevole spinta per continuare a produrre romanzi. Quell’opera possedeva caratteristiche forti, che amo ancora molto, e altre che andrebbero sistemate ma che sinceramente non ho mai capito come.
Quel romanzo alcuni lo amano e altri non lo calcolano proprio, per cui non riuscii a pubblicarlo. Ma ricevere un riconoscimento come il Premio Zeno mi ha fatto capire che la direzione in cui stavo andando era corretta.
Successivamente sei entrato nella giura del Premio Zeno, come succede a tutti i vincitori delle edizioni passate di Zeno, e l'anno scorso hai deciso di iscriverti al Premio Italo Calvino da cui hai ricevuto una menzione speciale, vuoi descriverci com'è stata la tua esperienza al Calvino?
Questi anni come giurato del Premio Zeno sono stati molto interessanti. Ho letto tanti romanzi finalisti, tutti ottimi, tutti uno specchio di un movimento di giovani (come status di scrittura, non per forza di età anagrafica) appassionati della letteratura che si mobilitano con grande fatica.
Con il romanzo che ho concluso l’anno scorso ho deciso di partecipare al Premio Calvino, e una volta inviato per molti molti mesi nulla è successo e nulla si è saputo, questa è una caratteristica del premio, che prevede una grande quantità di lettori e di conseguenza un periodo di latenza estremamente elevato. Nel frattempo ho deciso di scrivere un altro romanzo perché attendere sarebbe stato assolutamente assurdo. Poi è arrivato l’annuncio che ero tra i finalisti, la convocazione a Torino, la cerimonia di premiazione, una lunga giornata e serata e poi la menzione speciale della giuria. È stata nuovamente una grande soddisfazione realizzare che la direzione in cui avevo spinto il mio lavoro di scrittura corrispondeva a qualcosa di efficace, a qualcosa che era arrivato alle varie persone, lettori giurati giuria comitato, con le quali mi sono confrontato su ciò che volevo dire e su ciò che il romanzo ha trasmesso.
Sei stato contattato da una casa editrice per il tuo romanzo "Ai gentili non vendere armi", menzionato al Calvino?
Ad oggi nessuna casa editrice mi ha proposto pubblicazioni, e nessuna io ne ho contattata. Devo dire che nel corso degli anni, non avendo mai pubblicato romanzi, ho notato che l’ansia da pubblicazione se n’é naturalmente andata. E ritengo che questa sia una cosa ottima. Perché possedere il desiderio di pubblicare a tutti i costi, conduce a pubblicare, ma a tutti i costi. In realtà la mia aspirazione, come penso quella di tutte le persone impegnate a qualunque livello artistico, non è quella di avere un bollino che certifichi la tua appartenenza a una presunta Cerchia, quella degli autori pubblicati, ma invece è quella di arrivare alle persone a cui vuoi far leggere quello che con notevole impegno scrivi. Quindi, se ci saranno delle opportunità di pubblicazione, le valuterò e le seguirò, e se non ci saranno andrà bene ugualmente.
Anche quest'anno collaborerai alla giuria di Zeno, che consiglio senti di dare agli autori iscritti?
Il mio consiglio è quello di evitare le facili scorciatoie, le mode, la tematica che acchiappano, il politicamente corretto, il politicamente scorretto, la storia vera a tutti i costi, la ricerca artistica che parla solo dell’arte, il post-moderno a tutti i costi, il classico a tutti i costi. Tutto quello che alla fine non interessa all’unica vera persona per la quale scriviamo, che è l’ignoto lettore. Il quale ottimisticamente, e speranzosamente, è un ignorante (tra virgolette). E perché l’ignoranza va messa fra virgolette? Perché non è una cosa così brutta alla fine. L’ignoranza è qualcosa che ci capita, per la nostra storia familiare, per le nostre possibilità, a volte purtroppo anche per qualche scelta sbagliata, ma è solo un’ignoranza di cultura. Ogni lettore, anche il più disperato (tra virgolette), non sarà mai ignorante di vita, perché la vita ci avvolge e ci circonda tutti, non solo noi esseri umani ma tutti quanti gli esseri viventi.
E quella fiumana che è la vita non ammette ignoranza.