Le motivazioni della giuria ai Racconti Lunghi


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Le motivazioni della giuria del Premio Letterario Zeno alla cinquina della sezione Racconti Lunghi.

30/01/2020 | 16:00

PRIMO CLASSIFICATO: Maurizio Minetto, Un posto per veri uomini

Un racconto dagli echi bukowskiani. Spaccati di vita periferica che condensano notevoli spunti di riflessione sulla realtà odierna. Richiami culturali alti e bassi coi quali l’io narrante si destreggia instillando dosi di ironia che rendono l’insieme armonico. Pur nella sua linearità e apparente semplicità, la narrazione offre al lettore un caleidoscopio visuale che, girato in un senso o nell’altro, rende l’idea della molteplicità quotidiana. Solitudini scomposte si muovono a tentoni in un mondo duro, abbandonato a se stesso e agognano un qualsivoglia paradiso oltre un cielo ormai asfissiante. (PLACIDO DI STEFANO)


SECONDA CLASSIFICATA: Simona Elvira Soci, Taxi blu

Pur utilizzando il cliché del tassista (evocato in epoca contemporanea da rappresentazioni di stampo diverso, quali il cinema, la poesia, la stessa narrativa), il racconto Taxi Blu si distingue per la particolarità del suo protagonista: un paranoico ossessivo che veste come un autista d’altri tempi e che – interiormente/in una quotidianità parallela – vive l’esistenza alternativa di economista specializzato in sistemi monetari. Emblematica questa figura che ben rappresenta la sommarietà del mondo attuale che si regge su tesi bislacche argomentate da individui poco formati/informati o comunque non addentro (come si dovrebbe) alle svariate tematiche globali: le tesi complottiste, le banche, lo spread e più in generale il capitalismo attorno a cui tutto gravita. Taxi Blu ha un buon andante che però non decolla, non spinge con l’accelerata finale che un lettore immagina possa avvenire da un momento all’altro (visto anche il protagonista particolare) per far deflagrare le parole in un metaforico incidente dagli esiti catastrofici. (PLACIDO DI STEFANO)


TERZO CLASSIFICATO: Martino Sgobba, Crucifero

Nel racconto, l’attore principale non è il poco empatico Crucifero, la cui storia scivola via senza scosse verso il finale, ma la scrittura, sostenuta dall’accumularsi delle metafore, dalle scelte lessicali, dall’uso innovativo dei termini. Come Crucifero, lo scrittore “lotta e gioca con le parole”, perché è “ la parola che rende reale il mondo”: se mai la scrittura dovesse perire, sarebbe questo il suo epitaffio. (CARLO NELLO CECCARELLI)

Crux si genuflette per un istante solo davanti alla metafora, viene scritto in punto del testo, quando Crucifero – il personaggio dall’intelligenza sopraffina che ha scelto di attraversare da parte a parte la vita e non di rimanere immobile ad aspettarla – può considerare concluso il suo vagare errante, senza fissa dimora, e – trovata una piccola alcova – si concentra su un altro tipo di viaggio, quello interiore, che mira all’esplorazione della parola. È a questo punto che, forse, il racconto perde forza, nel momento in cui – dalla narrazione pura – si passa al monologo schizoide di Cruz. Merito del testo, l’abbondante utilizzo di parole anche poco usuali, un linguaggio indubbiamente forbito, un profluvio che, in certi momenti, ci fa godere delle svariate possibilità che la nostra lingua ci concede. Allo stesso modo, le svariate possibilità che un personaggio strabiliante come Crux può fornire a qualsiasi scrittore, vengono – in questo caso – amputate, con un finale che non segue e non regge degnamente l’intero preambolo. (PLACIDO DI STEFANO)


QUARTO CLASSIFICATO: Gandolfo Conte, In tutto c’è una morale, se la si sa trovare

Un racconto surreale. Un linguaggio che a tratti richiama Céline. Una sintassi musicale - poco usuale negli ultimi tempi - che però funziona, porta avanti questa narrazione/monologo che man mano ci porta a scoprire un personaggio negativo che, concettualmente, simboleggia l’ipocrisia, forse il vizio capitale per eccellenza della contemporaneità. Il racconto si dipana in lungo flashback che scade in certi momenti in sotterfugi letterari della cosiddetta letteratura di serie B (un esempio emblematico: la lettera della moglie e l’abuso di cocaina da parte di lei). Potenzialmente un buon brano, che però zoppica in alcuni momenti, non sopportando il peso delle proprie parole e crollando su se stesso come la chiesa nell’epilogo della storia. (PLACIDO DI STEFANO)


QUINTO CLASSIFICATO: Cristiano Buffa, Stavano andando a caccia

Un linguaggio minimalista – i richiami minimalisti, nel senso carveriano del termine si scorgono fin dal titolo – accompagna le vicende quotidiane di tre personaggi che si muovono ripetendo gesti sempre uguali ed essenziali in una provincia estrema, un mondo agreste e rude popolato da uomini e cinghiali. Si sente il sapore della terra e il retrogusto di minestre scaldate. Errori banali – quali l’uso erroneo dei tempi verbali in un paio di occasioni – fanno pensare a una mancata riscrittura e rilettura del testo. Finale poco convincente. (PLACIDO DI STEFANO)

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