La poesia di Eleonora Villa


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Vincitrice della edizione 2022 con la poesia "Agosto"

10/06/2023 | 11:32

Eleonora Villa nasce in Brianza e si laurea in Economia dei Mercati finanziari a Milano. Alcune poesie e racconti sono su Crack, Grafemi, Micorrize e Suite Italiana

La sua poesia, Agosto, ha vinto la X edizione del Premio ZenoUna poesia, secondo Giulia Caminito, giurata donore del 2022, che incastra bene le immagini, che hanno una loro forza narrativa ed emotiva che restituisce il giusto mistero di cosa ci sia dietro, quale sia il tu a cui si parla, quel tu che parte del noi. Agosto è un mese terribile, credo, per chi ha sensibilità e soffre il mostrarsi dei corpi, le città  vuote, l’afa, la voglia di vacanze collettiva e il rituale delle spiagge e del divertimento standard. 

Secondo Barbara Grubissa, vincitrice della IX edizione, è il potere della parola che resta cristallina nel tempo e fissa i ricordi in maniera indelebile, anche dopo il disincanto, una lirica che è balsamo comunicativo e che è rimedio al tempo che sbianca, attutisce, rompe allontana ogni segno e gesto che crea dialogo. Una poesia che tende ragione alla forza dell'interpretazione a due, di due voci sincrone nella sincronicità del resto del mondo che si riposa, che si ripristina, che cambia, che è soggetto a lavori in corso per svelare la realtà propria e personale intima ma non solipsistica. Due voci spezzano la verità o ne creano una alternativa e personale e in controluce, come da fare una buona poetica. 

La dizione (è) sorvegliata e incisiva (secondo il giurato Giuseppe Feola); regge bene la prova della lettura ad alta voce, riuscendo a catturare il lettore. 

Valentina Cottini, prima classificata nel 2020, quando il giurato d'onore era Andrea Tarabbia, trova che “Agosto” (sia) già dal titolo e dai primi versi un’affascinante sinestesia, nella quale tuttavia l’afa estiva non offusca la nitidezza delle immagini offerte, delineate dall’autrice con lessico ricercato e l’accuratezza di inquadrature quasi cinematografiche. La misericordia che è il “tu” del dialogo poetico sembra colare dal primo verso lungo tutto il componimento, in una progressiva visualizzazione e riscoperta del duale, ancora possibile, se “Agosto è tirare una riga sopra”. 

Nella poesia “Agosto”, secondo Fernando Della Posta, Eleonora Villa descrive con particolare pathos la mancanza di una persona cara che si vorrebbe ardentemente e comunque al proprio fianco. Un’assenza fisica talmente condizionante che sembra farsi, in prima istanza, concreta presenza salvifica in un paesaggio dai tratti cadenti e solitari. Una concreta presenza che però con l’evolversi del pensiero diventa insoddisfazione e frustrazione: i ricordi dei momenti felici, quindi, perdono ogni colore e quelli del parlato diventano prima frasi pronunciate ossessivamente e poi semplici e muti elementi del paesaggio: “il pappagallo che al lentisco cede la tua parola”. La poetessa, infine, inesorabilmente, cancellerà ogni ricordo felice, ogni assenza frustrante e ogni presenza, riducendosi a dialogare a mezza voce con dei simulacri sbiaditi e vuoti. 

Una città estiva, deserta, delineata con pochi tratti, fa da sfondo alla voce dell'io poetico, che sembra interrogarsi sul senso più autentico dei rapporti umani. Questa la motivazione di Sergio Pasquandrea. 

Per Davide Toffoli si tratta di una lirica malinconica e sospesa che si fa immaginare in una duplice dimensione: fotograficamente immobile, seppur attiva anche sul piano fonico, e costantemente in divenire, dove dominano il senso di vuoto e le tracce evidenti del tempo che passa e che trascina quasi tutto via con sé. 

Pare di sentire l’eco della “sterminata domenica” di Vittorio Sereni, in questi versi di Eleonora Villa. Una città desolata, scrive il giurato Vincenzo Rezzuti, un bar chiuso per lavori, insegne con la A rotta e in sottofondo un dialogo tra sordi che non riescono a sentire la voce dell’altro. Se Vittorio Sereni non amava il suo tempo, l’autrice sembra contemplare un vuoto estatico, l’impasse dei sentimenti curiosamente in sintonia con il momento dell’anno in cui i tavolini restano vuoti e si fanno i conti con sé stessi, davanti all’altro assente. 

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