Leandro Lucchetti risponde


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Tre domande al vincitore della VIII edizione di Zeno, sezione racconti lunghi

06/03/2021 | 11:36

Emanuele Bukne, caporedattore del Premio Zeno, ha posto all'autore Leandro Lucchetti, vincitore del Premio Zeno 2020 (sezione Raconti Lunghi), tre domande sulla sua esperienza. Di seguito una sintesi della video intervista.

Salve Leandro. Nel 2020 ha partecipato con un racconto lungo, alla Sua seconda esperienza al Premio Zeno (considerata l'iscrizione del 2019 con un romanzo edito e un racconto breve). Cosa l'ha spinta a riprovarci?

Ho ripartecipato per due motivi: la voglia di essere letto, perché come sapete uno dei problemi di chi scrive è di non trovare lettori, quindi se invii la tua opera a un concorso vuol dire che qualcuno leggerà quello che hai scritto; la seconda motivazione è la vanità, la vanità dello scrittore che ambisce a qualche riconoscimento.

Se e come ha influito la pandemia sul Suo modo di concepire la scrittura.

La pandemia non ha inciso in alcuna maniera nel mio modo di essere scrittore, casomai ha portato qualche tranquillità che prima non c'era e quindi mi sono potuto concentrare in maniera soddisfacente.

Come ha accolto la notizia della vittoria alla VIII edizione del Premio Zeno?

Con grande piacere ma anche con una grandissima meraviglia, ero convinto che non avrebbe suscitato nessun tipo di riscontro, oppure che avrebbe suscitato commenti negativi, questo perché l'argomento che tratto (il dramma delle foibe che ha coinvolto Istria e Trieste alla fine della seconda guerra mondiale) è, come forse saprete, un tema molto controverso e divisivo. Per chi non lo sapesse, le foibe sono delle cavità naturali, inghiottitoi nel carso istriano e triestino, dove sono stati gettati i corpi giustiziati di persone ritenute fasciste o collaborazioniste del fascismo. Una vulgata generale, a seguito del giorno del ricordo, fa sì che il problema delle vittime, il problema dell'identità ideologica delle vittime, non viene più posto: si dice che le vittime sono semplicemente italiani colpevoli solo di essere italiani. Il titolo del racconto, Il negazionista, è già di per sé un po' provocatorio, perché "negazionista" è considerato chi nega l'esistenza delle foibe. In realtà le foibe sono un dramma storico documentato e fotografato e quindi non può essere negato, non esistono e non possono esistere negazionisti delle foibe. Il discorso cambia quando il negazionista viene tacciato di "riduzionista". Il riduzionista è chi non accetta la vulgata generale di migliaia di vittime, ma pretende che ci sia un resoconto storico di quelle che sono state effettivamente le vittime. A Trieste, dove io abito, questo problema è molto sentito. Il mio racconto si basa su un problema che riguarda il monumento nazionale, sacrario dei caduti italiani colpevoli solo di essere italiani, che è la cosiddetta foiba di Basovizza, "cosiddetta" perché la foiba di Basovizza non è una foiba ma un pozzo minerario, ma questo è solo un piccolo corollario del problema reale che riguarda il monumento, e che io ho tratto letterariamente nel racconto. Qual è questo problema non ve lo dico perché così, se vi interessa, vi andate a leggere il racconto.

La decisione della giuria mi ha piacevolmente sorpreso perché evidentemente è una giuria che non si è fatta condizionare da ideologie politiche e ha accettato un racconto che si indirizza su una strada diversa da quella che è la vulgata nazionale che tutti oggi propugnano. Credo di aver fatto una cosa positiva, perché andare alla ricerca delle verità nascoste è una delle funzioni primarie della scrittura. 

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